raffaellaarena

17.

Corpi (2019)

Questo progetto nasce da una ricerca su corpo e identità e si sviluppa tra fotografia, scrittura e performance.
Ho ritratto persone disposte a condividere la loro esperienza sul modo di vivere il proprio corpo nudo.
I testi sono stati scritti su mia richiesta dai soggetti ritratti dopo l'esperienza davanti alla macchina fotografica.



Questa non è una direzione
Testo introduttivo di Elena Giorgiana Mirabelli

#1
Il Corpo quando è tematizzato perde parte della sua natura. È sezionato, diventa un campo di battaglia simbolico e ideologico, non è più carne, o meglio non è più solo carne. È osservato, descritto, segnato. Lo sguardo che lo indaga non è mai neutro e tende a proiettare il proprio desiderio, le proprie aspettative su un Corpo che diventa solo un oggetto di consumo fra i tanti. Spesso preciso, liscio, pulito, senza imperfezioni.

Ma è davvero ciò che il nostro sguardo vuole?

#2
L’abito quando non veste bene rende goffi, costringe i nostri gesti, condiziona il movimento.
E qui per abito non intendo l’insieme di stoffe e tessuti che aderiscono alla pelle, intendo la stessa capacità di stare nel mondo, di occupare un determinato spazio, decidere per una distanza, l’agio che si sente quando quelle decisioni sono così vicine al proprio sentire, che la pelle sta bene, il respiro non è contratto, i nostri gesti sono fluidi anche qualora dovessero sembrare sconnessi. Perché di fatto è sempre un gioco a due fra chi abita il corpo e chi lo osserva.
Quando l’abito è pellicola, solo in quel caso, puoi immaginare di sapere da che parte stare, per non dire chi sei, perché il “chi sei” è gioco complesso e faticoso, ma è già un modo per iniziare a capire.
Il corpo è pellicola e quando si è corpo e non lo si indossa, beh, lì siamo in un’altra dimensione.

#3
Mostrare il proprio corpo, il segno del costume, i nei, le sue asimmetrie è iniziare a essere corpo. Imporsi allo sguardo descrivendo il limite ben preciso della propria intimità. Negare lo sguardo o fissare in camera senza nessun tipo di attitudine aggressiva.
Ti guardo perché non sono io che mi mostro a provare vergogna: ti guardo perché ti permetto di vedere la mia carne ma ti nego me.
I Corpi sono muscolari e morbidi, fanno intravedere le attitudini caratteriali, le chiusure e la tensione ludica. Meccanismi imperfetti e imprecisi.

#4
Dove sta il limite fra uno sguardo che erotizza e quello che osserva?
Nell’intenzione e nel gesto, forse. Nella capacità che quello sguardo ha di calibrare le distanze. Una distanza che diventa significativa, come un rigo bianco in un racconto.
Lo sguardo erotizza se proietta sul corpo il proprio desiderio. La propria urgenza. Quel corpo diventa oggetto di desiderio, le sue geometrie diagramma di quel che potrebbe essere.
Lo sguardo che osserva si fa neutro. Lascio che il corpo si mostri e che sia puro soggetto di desiderio. Il movimento, il ritmo, l’abito che si è.

#5
Non c’è alcuna direzione. Perché la direzione non sarebbe che un abito troppo stretto.




Primo corpo
e testo di Ketty Rotundo

Chiudo gli occhi e mi concedo il lusso di spiarmi solo da lontano. Occupo lo spazio del niente. Prendo per mano una miniatura di me donna. Nata al tramonto, quando tutto finisce. Tocco un fianco di bambina, accarezzo un germoglio, un capezzolo appena fiorito. È un piccolo essere, uno sconvolgimento dell’anima. Dagli occhi chiusi il sale scende, piano che non me ne accorgo nemmeno. Confondo i miei occhi con i miei. Un lenzuolo ricopre la polvere che mi è rimasta addosso. Scivola via, fino a lasciami feto. Torno indietro, verso la placenta. È così che mi riscopro donna, dalla nuca, da quel piccolo osso non ancora formato. Si sdraiano sulla mia schiena per insegnarmi che devo stare muta, in silenzio. Nessuna parola deve uscire da quella piccola bocca, nessun gemito, se non il pianto. Si strofinano sul mio culo e mi scansano la libertà. Mi tormentano le mani, fino a farle diventare acqua. Ed è qui che hanno commesso l’errore. L’acqua è un elemento della terra, un passo svelto, privo di abbandono. Così rinasco, dai brividi della pelle. Da quel mio concedermi ancora, senza tregua. Mi regalo il dolore, l’attesa, la mancanza. Mi tengo stretta, fino a scomparire.
Sono una donna, che ama odia.


Incazzata tranquilla inquieta serena acida permalosa povera benestante aperta a tutto con una mentalità ristretta solare aggressiva calma.
Sono una donna che ha fame inappetenza sete che non beve che fuma non fuma.
Sono una donna che si masturba che non conosce il suo corpo che ha consapevolezza di ciò che è che fa sesso che non ha mai fatto sesso.
Sono una donna che ha figli che non ne ha.
Una donna piena di amici sola.
Fidanzata sposata divorziata vedova vecchia giovane matura immatura.
Sono una donna con pregi difetti autostima insicurezza .
Sono stata voluta non voluta.
Sono una donna che ha abortito che non è mai rimasta incinta.
Sono un donna, una Persona, e in quanto tale ho il diritto di essere difesa se mi importunano se mi molestano se mi aggrediscono se mi fischiano per strada.
Sono una donna che ha un corpo.




Secondo corpo
e testo di Annarita Sganga

Puoi guardare il mio corpo
e pensarlo come meglio credi.
Se osservi bene ti accorgerai
che non hai il privilegio di avere i miei occhi,
ti sono negati.
Se è vero che ”Gli occhi sono lo specchio dell’anima”
allora la mia anima la riservo a pochi.
È privata. È Divina, speciale.
Sii delicato.
Sii gentile con tutto quello che incontrerai nel tuo cammino.
Abbi cura di tutti gli occhi che si poseranno nei tuoi
perché dietro essi
si nasconde un mondo intero,
sottile e fragile.
Maneggiali con garbo
gli occhi che ti verranno rivolti
e che si apriranno a te.
Abbine cura.
C’è un universo intero
dentro la liquidità di ogni singolo sguardo.


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